Critico d’arte e curatore
Renato Li Vigni: L’arte come alchimia spirituale – La Luce che attraversa l’Anima
Sin dai primi secoli del pensiero mistico cristiano, il problema della Luce come manifestazione del divino ha affascinato filosofi, teologi e artisti. Dionigi l’Areopagita, padre della teologia negativa, scriveva che ‘la luce divina non si contempla con lo sguardo, ma con il cuore illuminato’, lasciando intendere che il divino si manifesta non nell’evidenza, ma nella trasparenza del mistero. La Luce è così presenza e assenza, ma anche soglia e rivelazione. Mi piace ricordare anche Leonardo da Vinci, artista e scienziato del Rinascimento che vedeva nell’Anima, in parole semplici, un fuoco invisibile che anima la carne e la pittura un modo per toccare ciò che è oltre la forma. Non è un caso che parlasse di ‘ombre spirituali’, rapportabili agli studi contemporanei e riferiti ai corpi sottili, come elementi fondanti della percezione visiva, riconoscendo all’arte il potere di sfiorare l’invisibile. Mentre, più vicino a noi, Rudolf Steiner affermava che l’artista ha il compito di risvegliare l’anima dormiente dell’uomo moderno (cit. ‘La Prova dell’Anima’). L’arte, nella sua visione, è così un atto di mediazione tra gli infiniti mondi: quello terreno, pesante e materiale, e quello spirituale, sottile ed eterno. Desumiamo così che l’artista non dipinge ciò che vede, ma ciò che vive interiormente, facendo diventare, alchemicamente, l’opera come rito, la propria traccia del lungo percorso verso la personale ed intima interiorità, il suo segreto viaggio. È in questo ‘disegno divino’ che si inserisce profondamente e coerentemente la ricerca. Nella sua pittura non si assiste mai alla rivelazione di una semplice rappresentazione: ciò che prende forma sulla tela è piuttosto una manifestazione silenziosa, una sorta di epifania interiore che si offre come esperienza da attraversare. Le sue opere sussurrano, invitano ad aprirsi a una vibrazione sottile che si insinua dolcemente, come una presenza che si riconosce più con l’Anima che con gli occhi. È in questo ascolto quieto che il percorso di Li Vigni prende senso: un cammino che non nasce da un’urgenza estetica, ma piuttosto da una necessità più profonda, umana prima ancora che artistica, quella di avvicinarsi a una dimensione altra, che lui stesso definisce ‘pura energia’. Il tratto segnico, la cifra espressiva, la firma dell’artista, non vogliono riprodurre una figura divina con sembianze umane, non sono direzionate a consegnarci un’immagine da adorare o da temere, ma piuttosto si chiariscono e si esprimono, verso una forza invisibile e diffusa, una presenza impalpabile e insieme concreta, che ci abita silenziosamente, ci plasma, ci accompagna, e che — talvolta — pare persino chiamarci da dentro, come se fosse sempre appartenuta a noi. I quadri non raccontano una vera e propria storia, non sono scene di un teatro dell’arte, ma rappresentano quel bisogno di creare uno spazio sacro, intimo e allo stesso tempo universale, guidati sotto l’egida volontà di suggerire una connessione tra il mondo intimo e quello che ci accomuna tutti. Le superfici così sono meditate, spesso percorse da fenditure luminose, vene dorate, linee irregolari che sembrano vibrare nel silenzio. C’è sempre, in filigrana, il conflitto tra la luce e l’ombra – ma è una lotta gentile, mai violenta, in cui la luce non cancella il buio, lo trasmuta. Li Vigni, d’altro canto, non nega l’oscurità, ma l’attraversa, perché lui l’ha vissuta ed è consapevole della sua esistenza. Ebbene sì, ne ha conosciuto il volto, eppure sceglie di aprire varchi di luce, come a volerla esorcizzare con la forza del gesto. In questo atto c’è una fede, un’urgenza spirituale… I colori che impiega profondi, schiaccianti e presenti, sono modulazione energetica, al di là delle scelte estetiche. Ogni quadro così, diventa un campo vibratorio, dove le forze dell’Anima si raccolgono, si dissolvono e si ricompongono. Il suo è un linguaggio archetipico, fatto di simboli primordiali… Il simbolismo astratto di tante religioni… e così ciò che emerge non è mai un soggetto, ma una vera e propria presenza, una sorta di personale e riconoscibile apparizione. La pittura è medium d’atto meditativo, è soglia tra infiniti mondi. In questo, le sue opere si fanno “icone laiche” di una spiritualità moderna, sganciata dal dogma, ma estremamente radicata in un sentire sacro. Egli compie, con coerenza e umiltà, quel cammino che ciascuno di noi è chiamato a intraprendere: la discesa dentro se stessi per riconoscere la Luce che ci abita. La sua arte non è guida, ma compagna di viaggio di Vita, e diventa mezzo che ci invita a rallentare, ad ascoltare, a cercare. Perché, come diceva Meister Eckhart: ‘la Luce che cerchiamo fuori, è quella che da sempre arde dentro di noi’.
7 maggio 2025
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