Giancarlo Bonomo

Critico d’arte e curatore

Il Magistero ecclesiastico nella riflessione artistica 


L’immagine di Dio e della potenza della Trinità, così come le scene dei Santi e dei martiri, trovano da molti secoli nelle infinite modalità espressive dell’Arte – dal mosaico all’affresco, dalle icone bizantine fino alla pittura ad olio – la straordinaria possibilità di rendersi manifeste agli occhi delle genti, favorendo quella facoltà immaginativa che prima di allora era latente. Nei tempi che furono il mondo non era certo colorato e vistoso come nell’epoca moderna. Il colore, la bellezza delle forme, erano dei lussi che solamente la Natura poteva dispensare e non si presentavano certo negli abiti o nelle attività del quotidiano. Ma l’Arte è riuscita a compiere il miracolo, a dare volti, immagini, forme e colori ad una concezione religiosa che – pur nella solennità delle severe liturgie – rimaneva confinata in una fede cieca, spesso oscura, e comunque privata di  riferimenti concretamente figurativi. L’Insegnamento religioso veniva tramandato secondo la rigida tradizione orale seguendo le prediche e le omelie ch’erano autentiche occasioni di formazione del pensiero teologico, prevalentemente per i chierici e gli uomini di lettere. Ma, gli analfabeti e le genti non acculturate rimanevano, se non del tutto escluse, ai margini dell’insegnamento dogmatico e dei misteri delle Scritture.  


Fu così che un papa illuminato, Gregorio I Magno (ca 540-604), santo e dottore della Chiesa, già artefice della conversione dei Longobardi di Teodolinda al Cristianesimo, intuì per primo il potere ed il valore delle immagini sacre per la divulgazione pastorale. Nella celebre Lettera del 599 al vescovo Sereno di Marsiglia, di indole iconoclasta nei confronti delle raffigurazioni, forse motivato dalla tanto temuta idolatria, Gregorio Magno evidenzia la capacità evocativa delle immagini, indispensabili per l’analfabeta così come lo sono le parole per coloro sanno leggere e scrivere il latino. Il papa, in questa famosa riflessione, potente ed indelebile come fosse scolpita su pietra, afferma convintamente la funzione delle figure sacre che richiamano i contenuti delle lunghe predicazioni, rendendo semplice ed immediato il messaggio dello Spirito Santo il quale, come soffio invisibile dell’Anima Mundi, anima ed ispira le azioni dei protagonisti della Tradizione cristiana. Non ci è difficile, in virtù di queste considerazioni, immaginare secoli dopo lo stupore e l’emozione di coloro che si trovarono dinanzi alle giottesche Storie di San Francesco ad Assisi o, più tardi, alle Storie di San Pietro della Cappella Brancacci a Firenze, realizzate da Masolino e Masaccio. Pensiamo alla meraviglia nel vedere i coloratissimi paludamenti, le dorature delle aureole, gl’incarnati dei volti e le loro espressioni. Persino il volto imperioso e severo del Padreterno nella Cappella Sistina, con la barba bianca e uno sguardo che contiene in sé tutta la Luce della Sapienza del Creato. Dio, quindi, ha sembianze umane e indossa una veste rosata. E Michelangelo, come se l’avesse visto davvero, ce lo rivela. Tutto diviene più reale, plausibile, concreto. Ora, la Parola divina è sostenuta da immagini eloquenti, vicine, vicinissime alla dimensione umana. Così come le pergamene, le bolle papali e i manoscritti corredati da miniature che valorizzeranno la comprensione del testo rendendolo più intelligibile e convincente anche fra i dotti e i chierici stessi.  


Ai giorni nostri, la storica Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti del 1999, è sempre un punto di riferimento per tutte le menti creative. Papa Wojtyła, che in anni giovanili fu lui stesso poeta e artista, in un significativo passaggio della sua Lettera, nel citare un perentorio divieto di raffigurare Dio ‘invisibile ed inesprimibile’ perché Egli ‘trascende ogni raffigurazione materiale’, come indicato nell’Antico Testamento, chiarifica ogni lecito dubbio. Il Verbo incarnato può essere rappresentato con sembianze riconoscibili perché, nel processo di Umanazione, si è reso manifesto ed è disceso fra le genti per adempiere al suo Ministero. Un’affermazione che – nel superamento della frase ‘Io sono colui che sono’, proferita da Dio a Mosè e contenuta  nel Libro dell’Esodo –  è dirimente rispetto al divieto della Legge biblica. L’Arte così – anche in forza dell’Editto di Costantino del 313 che ne liberalizza il culto – diviene ‘canale privilegiato’ e strumento complementare di divulgazione del Magistero ecclesiastico. La Chiesa ha bisogno dell’Arte, è la conclusione di papa Wojtyla. Così, la contemplazione del Cristo risorto, come l’ammirazione per la Vergine Santa ‘tutta bella’, costituiscono elementi fondanti – al pari della forza della Fede – di quella Bellezza che salverà il Mondo. Essendo stati noi creati ad immagine e somiglianza del nostro Creatore, possiamo dedurre una Verità che definiremmo assiomatica: ovvero che anche noi abbiamo la possibilità di mettere al mondo qualcosa che prima non c’era. E l’Arte ne è la diretta testimonianza. 

L’espressività aniconica di Renato Li Vigni


La sensibilità di Renato Li Vigni, uomo e artista di Fede, rapportata allo smarrimento di una controversa contemporaneità, rivela un recupero di valori religiosi realmente sentiti – prima ancora dell’Intelletto – nelle profonde ragioni del Cuore. Egli è consapevole che non avrebbe più senso riferirsi alla rappresentazione classica ponendosi in involontario confronto con i maestri della tradizione pittorica figurativa, peraltro ineguagliabili. La sua attenzione, dopo uno studio ponderato, si direziona verso quell’assoluta informalità più vicina ad un Sentire dell’Anima che a un vedere con la forza immaginativa della Mente. Nella sua produzione più recente, la forma sferica diviene così uno dei motivi riconoscibili. I suoi tondi – nella probabile metafora del perenne ritorno all’Origine delle Cose – evocano la divina perfezione del sacro Cerchio, l’Alfa che si congiunge all’Omega, quali simboli dell’eternità di Dio. Non ci sono angoli, spigoli, asimmetrie. Tutto coincide e tutto torna, prima o poi, in ciò che noi definiamo come circolarità di un Tempo che è, peraltro, illusorio. All’interno dei tondi prendono forma decise striature di colore simili a manifestazioni embrionali di vita. Un comune denominatore presente anche nei formati convenzionali. Opere con ispessimenti materici che, nell’incidere la tela, sembrano aprire nuovi orizzonti e dimensioni inattese di pura luce. E proprio nell’opera dedicata al Giubileo 2025, pubblicata nell’omonimo volume, e presentata presso l’Accademia Pontificia Mariana a Roma, di cui ci piace sottolineare l’importanza, la luce discendente irrompe e invade la tela espandendo un calore fiammeggiante di indescrivibile impatto visivo. Come già osservato, non vi sono riferimenti figurativi. Tutto risiede in una contemplazione interiore. Si ritorna al concetto biblico dell’inesprimibile. Nella sensibilità contemporanea dove impera il primato della scienza e della tecnologia, il passo indietro è inevitabile. Il Divino perde una connotazione oggettiva per favorire la rappresentazione individuale, come se ognuno lo percepisse a modo proprio. Per molti è una vibrazione energetica, per altri è semplicemente nei dettagli di Natura. Per altri coincide con l’Amore dantesco che tutto muove. La percezione concreta di Li Vigni si concentra tutta su una luce autentica, assoluta, abbagliante, talvolta con interventi di doratura. E questo è un altro dei suoi motivi caratteristici. La forza della Fede e della Vita viene trasmessa da quella luce che determina il colore, da quella materia in rilievo che avanza a testimoniare il preludio della creazione. Ma non è una materia immobile, senza vita. Al contrario, essa è animata, è mossa da un afflato invisibile che la governa. Qui, il nostro artista non rappresenta il volto di Dio perché ne comprende l’impossibilità esecutiva, l’umano limite. Ma, il suo messaggio ci giunge inequivocabile. Il Divino è in tutte le Cose, visibili e invisibili. Ovunque. Non sono necessari volti e aureole, perché li abbiamo già visti. Ora è il tempo di guardare oltre, lontani dai sistemi di credenze precostituiti, sempre più vicini ad una consapevolezza che superi le suggestioni e il potere evocativo delle icone. Perché Dio è dentro di noi.

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